
In un regno circondato da conifere, una preziosa valle di verde e profumi il re aveva annunciato la caccia al drago che da mesi infestava quelle terre. Aveva fatto diffondere per le strade principali del regno e per le vie più putride di periferia manifesti raffiguranti un drago in procinto di vomitare fiamme. Ma la gente comune prese questo fatto con leggerezza, paragonandolo ad uno scherzo quasi, poiché il drago raffigurato era più simile ad una lucertola morente.
E un mese volò via nell’attesa che un valoroso guerriero si mostrasse a corte.
Una sera, in una locanda di periferia, mentre la brava gente rientrava nelle loro case dopo una giornata di fatica, delinquenti e ubriaconi si addensarono dinnanzi l’ingresso bestemmiando. Affascinanti e altrettanto pericolosi reclamarono i loro posti in attesa che la notte portasse con sé quell’armonia frizzante tanto attesa. I barili erano posizionati con cura in fondo il salone e troneggiavano con fierezza e l’oste, l’unico che dettava legge in quel calderone di caos, ne faceva da guardiano.
– Le signorine! Dove sono le signorine?! –.
– Silenzio! Le danze non sono ancora aperte ingordo d’un bevitore! –.
L’uomo si fece piccolo e si rintanò in uno degli ultimi tavoli, dove di tanto in tanto lanciava occhiate fugaci verso l’oste.
Dalla grande arcata, che ridava all’ingresso della locanda, uscì dall’ombra il giullare del re. Torvo in volto e impostato come un armadio procedeva a passo lento verso il bancone, poggiò le braccia possenti sul legno e si sedette.
– Principessa – borbottò alla donna seduta al suo fianco.
– Giullare –.
Aveva un mantello di sacco con un cappuccio che le copriva gran parte del volto, di lei si intravedevano lunghe ciocche corvine sfiorarle i seni coperti solo da una camicia e le gambe accavallate.
– Che giornata di cazzo –.
– Già, che giornata di cazzo – ribadì la principessa.
In quello stesso istante l’oste aprì la prima botte e gli ospiti gridarono entusiasti.
Nel giro di pochi minuti tutti i calici erano rivolti verso l’alto, fra gridolini di gioia e risate la lunga notte paradisiaca ebbe inizio e un gruppo di signorine scese e si sparse fra gli uomini. Bastò poco e la realtà si trasformò in una bolla d’alcool che inglobò a sé ogni perversione presente nell’animo umano. Ogni peccato capitale venne infranto più e più volte fino a perdere il significato stesso del termine. Parole incomprensibili riecheggiavano per le pareti tuffandosi nei calici e poi nelle orecchie ovattate degli ascoltatori. Gambe fini si stesero sul bancone assieme a fianchi e uomini affamati di carne osservavano con trepidante attesa.
Prima che il più lucido di mente potesse rendersene conto l’orgia infestò ogni angolo di quella locanda.
Subito dopo una parola di troppo, un bicchiere versato a terra, un torto subito e il caos implose.
– Lurido villano, come osi metterti fra me e la mia cortigiana?! – gridò un uomo con orecchini d’oro.
– Villano! La pagherai! – rispose l’altro mentre tirò fuori un coltello affilato.
Le cortigiane temendo per la loro incolumità si ritirarono in fretta lasciando loro campo libero.
Un calice tentò di colpire la principessa e quest’ultima, dopo aver finito la sua birra, si alzò e andò incontro ad un uomo smilzo per colpirlo in pieno volto.
– Vecchio rimbecillito volevi forse decapitarmi? –.
– Erri sula mia traietoria dona! –.
Divenuta il cuore della rissa Eda riuscì a fronteggiare tutti coloro che credevano di poter avere la meglio su una donna, ma ognuno finì a terra con il singhiozzo e macchie del loro stesso vomito sulle vesti.
– Eda dannazione, è possibile che devi sempre ridurmi in questo stato i clienti?! –.
Il giullare la vide tornare al bancone e rise sotto i baffi.
– Potremmo ricavarne qualcosa da questa faccenda –.
– Tu dovresti pensare agli affari del re invece – l’oste riempì i bicchieri ai suoi unici due clienti rimasti ancora in piedi.
– Invece di lamentarti, caro mio Castore, ti ricordo che per la maggior parte dei tuoi guadagni devi ringraziare la sottoscritta –.
– Vivi nella mia locanda e bevi tutta la mia birra, cosa dovrei voler di più? Ah, certo, che la mia locanda si trasformi in un campo di battaglia! –.
– Cos’è accaduto qui? – esclamarono due guardie giunte in quel momento – Ci hanno segnalato una rissa –.
L’oste guardò le guardie, poi Eda e nuovamente le guardie.
– Principessa Edesseria! – gridarono all’uniscono appena la riconobbero – Vi stiamo cercando da giorni, il re ha richiesto la sua presenza a corte –.
– Il re dovrebbe sapere che non offro “certi” servizi –.
– Il re ha richiesto la sua presenza per il drago –.
– Il drago? Intendete quella specie di lucertola? –.
Entrambe annuirono.
Tornata poi sulla sua birra si accorse dello sguardo delle guardie e sbuffando disse loro che avrebbe raggiunto il re il giorno seguente. Queste, un po’ perplesse, ordinarono due birre.
– Re dei miei stivali, dovrebbe sapere che sono una mercenaria e non una cacciatrice di bestie –.
– Quel re è l’ultimo degli uomini – sentenziò il giullare.
– Alla testa del re! – brindò Eda sottovoce.
– Alla testa del re –.
La notte la conclusero entrambi in bianco e finirono per addormentarsi sul bancone in mezzo ai loro calici vuoti. Castore, come di consueto, li svegliò di malo modo e mentre cacciò Bacco, Eda se ne tornò barcollando sino alla sua stanza. Una stanzetta né troppo grande né troppo piccola che ridava sulla strada, Eda l’aveva affittata poco dopo essere arrivata nel regno ed aver venduto tutti i suoi averi e rinunciando al suo status di principessa. Tuttavia non c’era un solo abitante del regno che non si rivolgeva a lei con quell’appellativo.
Ogni qual volta che sentiva quel termine Eda provava un brivido di rancore.
Perché da quando aveva rinunciato al suo status era diventata una mercenaria per sopravvivere e ripensare alla sua vecchia vita la deprimeva.
Giunta a fatica il suo letto si addormentò e si svegliò quando il sole era già alto in cielo con la testa che le pulsava dal dolore.
Non aveva voglia di presentarsi a corte e trovarsi nella stessa stanza del re ma decise di andare solo per proporre una ricompensa molto alta per la testa del drago. Salutò Castore e si avviò con il cappuccio che le copriva il volto dal sole primaverile. La gente la fissava e al suo passaggio si sentivano borbottii e pregiudizi lanciati come i pianti di un bambino.
Arrivò a palazzo con troppa calma e venne fatta entrare nella sala del trono, che in quel momento della giornata sapeva di spezie in quanto era consuetudine del re mangiare nella sala del trono.
– Mia dolce principessa Edesseria! –.
Quando la vide il suo volto si allungò in un sorriso innaturale mostrando una fila di denti candidi.
– Mio re – l’entusiasmo mostrato da Eda, tuttavia, era meno evidente.
– Come state? Mi auguro che abbiate trascorso giornate molto piacevoli. Sono desolato di avervi disturbata ieri ma, vedete, ho una certa urgenza –.
– Discretamente… – esclamò mentre una fitta le aprì la testa in due – …devo ricordarle Sua maestà che il mio lavoro è quello di uccidere persone e non bestie, credevo di averlo specificato. Per di più quel drago sull’annuncio non mi sembra una potenziale minaccia –.
– Osate mettere in dubbio le mie doti artistiche? –.
– Certo che no mio re –.
– Molto bene – il re mise in bocca l’ultimo pezzo di tortino – perché, come tu ben sai, la mia offerta di matrimonio è ancora valida. Se non volete rischiare la vostra vita per quell’insulso drago sarò ben lieto di accogliervi fra le mia braccia e cercare un altro guerriero che mi porti la sua testa –.
Eda si maledì per non essersi ricordata di quella lama che il re continuava a maneggiare.
– Mi rincresce mio re, non diventerò mai vostra moglie –. Ogni volta che pronunciava le parole “mio re” un misto fra disgusto ed sdegno le saliva dallo stomaco per ritornarle in bocca.
– Bene, allora portatemi la testa di quel drago – concluse con il suo falso sorriso.
Eda annuì e, congedandosi, si incamminò verso il suo obiettivo.
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