La gente aveva dimenticato quel tetro canto che ogni notte si esibiva dalla foresta maledetta e si addentrava nelle case del villaggio.
Notte dopo notte, quel canto venne rimosso dalla mente degli uomini come fosse una maledizione e dopo cento anni nessuno faceva più caso ad esso. Ogni notte, tuttavia, la foresta riviveva il disperato suicidio di Asteria attraverso le note di Orfeo nate da un pianoforte fantasma, ogni foglia, ogni ramo e ogni fiore veniva impregnato di lacrime colme di dolore. La triste storia d’amore tra Asteria e Orfeo non era altro che un sottofondo insignificante per il villaggio.
Una vecchia leggenda cantata dalle civette.
Nessuno ne parlava più, nessuno onorava più la loro memoria, nessuno sapeva più chi fossero Asteria e Orfeo.
Accadde una notte che una ragazzina di nome Gaia si svegliò nel cuore della notte con una sensazione sorda al petto, come se soffrisse per la mancanza di qualcuno. Una musica le accarezzava le orecchie e quando si concentrò su di essa percepì delle emozioni negative che mai aveva provato prima; giurò che quel canto avesse a che fare con il pianto di un uomo. La sua natura curiosa la spinse a scoprire la fonte di quel suono, fece attenzione a non svegliare i suoi genitori e si addentrò nella foresta.
Il piccolo villaggio in cui viveva era situato nei pressi di un prato dove i smeraldi riflettevano il cielo e la foresta che lo circondava sembrava una porta che conduceva verso l’ignoto.
D’un tratto però quel canto svanì, al suo posto una civetta gridò come per avvertirla. Gaia non sapeva che con quella notte era l’anniversario della morte di Asteria poiché non conosceva la leggenda ma l’aria insofferente della foresta la fece rabbrividire.
Camminava lentamente osservando ciò che stava alla sua destra e alla sua sinistra, pareva una normale foresta. Un dettaglio però catturò la sua attenzione: nascosta dietro un albero c’era un’ombra dalle sembianze femminili. Gaia tremò dalla paura e pensò di correre via ma la sua curiosità era troppo forte.
– Chi sei? – tuttavia la figura si allontanò, ebbe l’impressione che non l’avesse vista.
Come chiamata una civetta le volò sopra la testa spingendola verso l’ombra.
– Vuoi che io la segua? –.
La civetta fece un altro giro e scomparve tra le foglie.
Raggiunse l’albero dove prima c’era la figura e trovò un petalo di girasole splendente.
– Seguila! Seguila! – esclamò la civetta.
Vedeva l’ombra sfocata e la seguì da lontano, di tanto in tanto trovando qualche altro petalo di girasole. Più si addentrava fra i tronchi ricurvi più si chiedeva dove l’avesse condotta l’ombra. Il buio la spaventava ma il sole d’argento la guidava e Gaia proseguì fino a quando non calpestò una lettera.
Lascio ogni cosa e chiedo perdono perché non sono stata capace di reggere questa irrefrenabile volontà di amarti. La casa che avevamo sognato si è bruciato. Ho sperato di cambiare le cose ma non oso discutere le volontà di mio padre perciò eccomi qui. Io non ho avuto il coraggio di afferrare il tuo coraggio e il tuo amore. Tu hai perso il senno ma che altro avrei potuto fare? Quando ha scoperto il tutto mi ha rinchiusa in casa torturandomi in modi osceni. Se mi amavi così tanto perché mi hai abbandonata a me stessa? Perciò addio mio tesoro adesso che parto per non tornare ti auguro il male.
A Gaia parve che quella lettera non avesse nessun senso.
C’era un filo invisibile che univa quelle parole in modo forzato, sentiva che era sbagliato. Si chiese se quella lettera appartenesse alla donna che camminava dinnanzi a sé. Con la lettera stretta al petto cominciò a correre fra gli arbusti illuminati sul sentiero, la figura femminile si stava dissipando e un odore di secco le suggerì la via. Sopra di lei la civetta la seguiva sbattendo le ali.
– Asteria – la chiamava – Asteria –.
Gaia si fermò a causa di un ruscello che spezzava il sentiero, osservò il suo riflesso e si sorprese nel vedere una donna sconosciuta dagli occhi violacei: alzò un braccio e la sua immagine fece lo stesso.
Stava sognando?
– Asteria! – sentì, nuovamente.
La vista della civetta le scatenò il cuore che prese a tramare mentre ricordi sconosciuti la invasero annientando la sua reale identità; spaventata oltrepassò il ruscello e continuò la sua corsa. Stava accadendo di nuovo, il suo spirito era tornato per rivivere quel dolore perché non aveva più il potere di cambiare le cose.
Era solo un ricordo.
– Orfeo… –.
L’affanno le opprimeva il petto e la voglia di ricongiungersi al suo amato la spingeva ad andare avanti, doveva rivelargli la verità perché la loro storia sarebbe potuta sbocciare; forse poteva davvero cambiare le cose.
– Orfeo aspettami! –.
Ma l’illusione la trafisse con malizia perché il pianoforte cominciò a vibrare nella foresta.
Gaia riprese possesso del suo corpo dimenticando perché si trovasse lì, perché non era nel suo letto? Pensò fosse un sogno ma una voce sinistra le parlò all’orecchio: – Trova Orfeo –.
Gli anni di silenzio si posarono sulle spalle di Gaia, anni in cui gli uomini avevano dimenticato la crudeltà che avevano usato contro due amanti folli spingendoli alla morte. Senza spiegarsi il perché capì che doveva trovare l’uomo che quella lettera le aveva narrato, senza rendersene conto il suo spirito si stava neutralizzando a causa del dolore.
Un passo e il cuore di Gaia si raffreddò.
Giunse in prossimità di uno specchio, accanto ad esso c’era solo il buio. Non sentì la voce della civetta che le intimava di non avvicinarsi perché lo specchio l’aveva già stregata: eccola lì a infrangersi in quei riflessi sinistri che mutarono la sua sanità mentale. Sbatté le palpebre e si ritrovò immersa fra le fiamme mentre il suo fisico si contorceva sotto quell’immenso calore.
Urlò accasciandosi a terra.
Si trascinò per il bosco con il cuore traballante, le mani esasperate cercavano una salvezza insistente. Calpestò una radice che gli ferì i piedi ma non se ne curò: la sua mente era persa dalla sera prima, quando aveva saputo del suicidio della sua amata. Ella si era data fuoco bruciando come la passione che le ardeva nel cuore.
Quando la scorse fra le radici annerite e spruzzi di fumo gridò gettandosi a terra.
Di lei non era rimasta cenere che sembrava carta, Orfeo perse il suo cuore quella notte e privo di volontà di andare avanti si addentrò nel cuore della foresta dove vi rimase fino a divenire uno spettro consumato.
Non trovò mai la lettera che Asteria aveva scritto per lui.
Lascio ogni cosa e chiedo perdono perché non sono stata capace di reggere questa irrefrenabile volontà di amarti. Questa foresta sarà per sempre la mia casa, la casa che avevamo sognato si è frantumata sotto i piedi dell’aspirazione, il mio cuore si è bruciato senza più reggere. Ho sperato di cambiare le cose ma il mio promesso sposo non me lo ha permesso e non oso discutere le volontà di mio padre perciò eccomi qui.
Hai disturbato la quiete della mia famiglia e io non ho avuto il coraggio di afferrare il tuo coraggio e il tuo amore. L’ho sposato e tu hai perso il senno ma che altro avrei potuto fare? Quando mio padre ha scoperto il tutto si è infuriato, il mio sposo mi ha rinchiusa in casa torturandomi in modi osceni e quando ti ho saputo del patto che hai stretto con il mio sposo ho capito che era la mia fine. Perché lo hai fatto? Se mi amavi così tanto perché mi hai abbandonata a me stessa? Mio tesoro mi hai fatto capire che il mondo non è posto per me, perciò ho deciso di andarmene e nonostante tu mi abbia tradita il mio amore per te è forte e brucia. Brucia più ossigeno del sole e pian piano la mia anima ha bruciato ogni riserva d’amore e sono rimasta vuota come una provetta esaurita. Perciò addio mio tesoro spero che almeno tu riuscirai a trovare il tuo posto in questo misero mondo marcio, saresti stato la mia speranza ma ciò non è accaduto e adesso che parto per non tornare ti auguro il bene che non ho avuto e spero che il male rimarrà chiuso in me, una non-peccatrice preda del destino.
Se mi odi non fa più nulla, se mi ami non fa più nulla, ormai nulla ha più senso, ma sappi che per me sei stato un tesoro e non potrò mai odiarti. Nonostante tu mi abbia abbandonata io ti perdono. Ti amo, ora e per il secondo infinito che mancherà alla mia morte prematura.
L’innocenza venne infranta dalla dimenticanza, dopo cento anni l’animo di Asteria aveva preso possesso del corpo di Gaia, per maledizione o semplice casualità, uccidendola per qualcosa che era ben lontana dalla sua realtà. Quella notte morì un’innocente e questo spinse gli uomini a ricordare, celebrando ogni anno per la pace di quelle anime tormentate. Per la prima volta il canto della civetta oscurò il pianoforte e un campo di girasoli sbocciò nella foresta.
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